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  • / Marzo 5, 2025
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Bruno Pizzul, professionista della parola

Tutto molto bello”, “Che gol!”, “Giocano bene questi!”, “La tensione è palpabile”.

Più o meno tutti abbiamo fissate nella mente e nel cuore almeno una delle storiche frasi di Bruno Pizzul. Non era necessario essere appassionati di calcio per sapere chi fosse, perché Pizzul ha rappresentato per anni un paese intero: Pizzul voleva dire nazionale, voleva dire europei e mondiali, voleva dire Italia.

Per molti di noi brunopizzul (sì, tutto attaccato, perché era diventato un’entità al di là dell’uomo), è un ricordo dell’infanzia, dell’adolescenza, di quei pomeriggi o serate d’estate dove guardare la nazionale significava stare in famiglia, con gli anziani seduti su sedie troppo vicine al televisore per sentire meglio e nipoti sdraiati in terra con gli occhi pieni di emozioni. Perché un gol o una parata, a quell’età, valevano tantissimo.

Ecco, Pizzul sapeva farti vivere quelle effimere emozioni legate al pallone in maniera pulita, vera, piena di un’umanità che forse oggi, nel mondo delle telecronache sportive, non esiste più

Le notti magiche di Italia ’90, il rigore di Baggio a USA ’94, le parate di Toldo agli Europei del 2000, la finale di Coppa UEFA tra Inter e Lazio del 1998, ma anche la finale di Coppa dei campioni del 1985, tristemente nota per la strage dell’Heysel, che aveva saputo raccontare con delicatezza e una professionalità senza uguali, e di cui ebbe a dire, anni dopo “È stata la telecronaca che non avrei mai voluto fare. Non tanto per un discorso di difficoltà di comunicazione giornalistica, ma perché ho dovuto raccontare delle cose che non sono accettabili proprio a livello umano”.

Eccola, tutta l’umanità di un professionista vero.

Sapeva usare e dosare le parole come pochi hanno saputo fare: erede di un pilastro del giornalismo sportivo come Nando Martellini, ti portava a vivere quell’ora e mezza in maniera viscerale ma mai sopra le righe: la sua telecronaca era un racconto, che sapeva sviluppare in maniera precisa in base a ciò che viveva in diretta, condito da aneddoti e curiosità sempre calzanti ma mai banali, semmai funzionali.

Ecco Roberto (che bellezza, quando chiamava i giocatori per nome, come amici che stanno giocando al campetto): ALTO! Il campionato del mondo è finito: lo vince il Brasile”.

Ora il giocatore Bosvelt: Bosvelt contro Toldo. TOLDO PARA! SIAMO IN FINALE!”

Nessun orpello inutile, nessuna aggiunta stucchevole, meno che mai statistiche sterili utili solo come riempitivi: eppure, nella profondità della sua voce e nella semplicità delle sue parole, c’era tutta l’epicità dell’emozione di quei momenti.

Non c’è stato, dopo di lui, un altro telecronista che abbia saputo raccontare il pallone con quella pulizia e quell’onestà intellettuale legate al modo di intendere la sua professione: perché curava le parole, le pesava, sceglieva quelle più adatte, come didascalie perfette per quelle immagini che ti porterai dietro tutta la vita.

Per chi lavora nella comunicazione, a tutti i livelli, Bruno Pizzul sarà sempre un esempio, a prescindere: raccontare per dovere professionale, raccontare per emozionare, raccontare per ricordare.

Grazie per i ricordi che hai saputo regalare Bruno: sì, è stato davvero “Tutto molto bello”.