Tracce di noi per comunicare liberə
Il viaggio da Sassari a Cagliari e viceversa dura sempre il tempo di innumerevoli riflessioni (deviazioni comprese). Dentro c’è soprattutto il nostro lavoro, la sua connessione alla quotidianità, alla società, a ciò che succede, a ciò che non accade mai, a questa e a quella notizia di cronaca e società. Uno, due, tre sensi di colpa sparsi ed un’infinità di interrogativi sul significato di libertà.
Maria: Ma la libertà occupa spazio? Perché se ne vedono solo i confini, talmente marcati da far male la pancia, la testa? “Fermati a Tramatza, prendiamo un caffè”.
Gio: Niente caffè, sono già nervosa alle 8 del mattino, troppe cose in testa. Mancavi tu a fare queste domande, così terribilmente difficili.
Nella realtà che viviamo oggi ci sono confini ben delineati, segnati con il grassetto, soprattutto per noi donne. Ma questo argomento lo prendiamo al rientro.
Ci nascondiamo dietro un dito, non lo vogliamo vedere, ma la libertà sta diventando un concetto troppo astratto: guarda noi, il nostro lavoro, “comunicare”, ti senti libera di farlo? Parliamo a nome di molti brand, abbiamo una libertà ridotta, fino al confine ben delineato dal cliente.
Gestiamo le libertà altrui.
Non controlliamo più le nostre.
Maria: Io ci credo al concetto per cui “la mia libertà finisce dove inizia la tua”. La libertà non è il caos. La libertà è rispetto, nella forma e nella sostanza. Comunicare liberi è la responsabilità di essere senza violare nulla del mio prossimo. Non è vangelo, né dottrina. No Gio, non mi sento libera, ma mi sento in colpa a dirlo perché se paragono la mia posizione o la mia vita a quella di tante donne su questa terra, so di avere margini più ampi di libertà. E non parlo di donne che abitano luoghi lontani, parlo delle mie vicine casa, compagne di università, colleghe al lavoro, conoscenti per caso, strette dentro chissà quali ostili costrizioni, vittime di parole ostili, vittime del proprio corpo. Abbiamo sbagliato lavoro, secondo te?
Gio: Come dici tu, la libertà è rispetto, ma anche la nostra libertà individuale deve necessariamente porre delle linee. Io, ad esempio, uso il buon senso, so di averne, e non è presunzione. Sappiamo – da adulti sapienti – cosa è giusto, corretto, rispettoso, ma a volte ce ne dimentichiamo, sicuramente una vocina dentro che ti dice: “Heilà, occhio, stai sbagliando”. La vocina urla, ma ci tappiamo le orecchie. E proseguiamo a limare la libertà altrui, a calpestarla, a giudicarla. No, non abbiamo sbagliato lavoro, abbiamo la responsabilità di parlare a nome di tante persone, uomini e donne che ogni giorno si ritrovano a dover gestire sia la loro coscienza, che il loro cuore. Non dobbiamo smettere di comunicare libertà, di essere noi stesse, anche se quel noi, non potremmo mai esserlo per davvero. Ma ho fatto pace con me, tu no?
Maria: Certi giorni si. Certi giorni no. Certi giorni la responsabilità di comunicare e comunicare bene è un macigno. Oggi le aziende non vendono solo prodotti, vendono valori. Quante volte l’abbiamo detto ai nostri clienti? Quante volte gli chiediamo di indagare sulla loro filosofia? Ma allo stesso tempo viviamo questa specie di rivoluzione comunicativa del mondo iperconnesso, ipercomandato da chissàqualealgoritmocitoccaoggi. Pianifichiamo strategie, raccogliamo dati sulle abitudini dietro un like, ci rompiamo le palle su una grafica che dura il tempo di uno starnuto, anzi il tempo che il pollice sullo schermo del cellulare vada oltre, senza degnarla di uno sguardo. Troppa fretta, meno libertà? Caterve di valori raccontati in pillole… e poi. E poi, è complicato, ma anche figo. A che ora abbiamo il primo appuntamento?
Gio: E meno male che ti avevo detto di essere nervosa, stai facendo di tutto per farmi ragionare su quanta responsabilità e poca libertà abbiamo. Ma no Maria, io voglio essere ottimista, e guardare le sfumature. E’ difficile per ogni azienda scendere in campo parlando di principi e filosofia, il nostro lavoro sta nel sapere ascoltare, e a piccoli passi instradare verso la via che intendono raccontare. Oltre la responsabilità, oltre le storture di un mondo accelerato, lasciamo il segno, con le nostre parole, racconti, strategie e creatività. Abbiamo la libertà di farlo, con quelle famose linee di confine, ma noi ce le abbiamo, è già una gran fortuna.
Sai che facciamo? Comunichiamo liberi, lo facciamo man mano, uscendo dalle righe, come il disegno di un bambino, che straborda nei suoi primi movimenti con il pennarello. Raccontiamo storie di persone che hanno lottato, che hanno perso, vinto e sofferto. Andiamo oltre quelle righe del moralismo e siamo vere, almeno nei racconti, almeno nel virtuale, qualcuno lo leggerà, a qualcuno giungeranno le nostre parole.
Scendi và che siamo arrivate, la prima azienda ci aspetta e da noi si aspetta verità.
Maria: La verità. La verità è relativa.